Sacrario dei Martiri della Benedicta

01/06/2024

 

La "Benedicta" (750 circa s.l.m.) appartiene amministrativamente al Comune di Bosio ed è situata nel Parco Naturale delle Capanne di Marcarolo (8.216 ha, compresi tra i 335 e i 1172 metri s.l.m.).
Il cascinale della Benedicta rappresenta uno dei luoghi più importanti nella storia della resistenza alessandrina ed italiana. Convento benedettino nel Medioevo, centro della proprietà terriera degli Spinola in età moderna, divenne la sede del comando partigiano della III Brigata Liguria nella primavera del 1944: nell'aprile di quell'anno i nazifascisti attaccarono in forze i partigiani, uccisero decine di ragazzi, ne avviarono centinaia ai campi di concentramento e distrussero il cascinale.

DESCRIZIONE DEI LUOGHI
In zona di grande pregio naturalistico, nel cuore del Parco naturale delle Capanne di Marcarolo, sorge il grande Sacrario dei Martiri della Benedicta. L’area monumentale si trova nei luoghi che furono teatro dell’episodio più tragico della storia partigiana alessandrina e di uno degli eccidi più efferati della storia della Resistenza italiana.

Il complesso monumentale, visitato dai Presidenti della Repubblica, Sandro Pertini, Giuseppe Saragat e Carlo Azeglio Ciampi, si sviluppa intorno ai ruderi, ancora visibili, dell’antica cascina Benedetta, antico convento, all’epoca sede comando partigiano, fatta brillare dai tedeschi alla fine del rastrellamento dell’aprile 1944.

Che cosa avvenne:
Nei giorni della Pasqua 1944, dal 6 all’11 aprile, il comando tedesco di Genova condusse la prima vasta azione antipartigiana contro i “ribelli” della zona dell’altipiano del Monte Tobbio, attivi nelle Valli Lemme e Stura. Un intervento attentamente pianificato, con massiccio impiego di uomini e
di mezzi, volto a garantire la sicurezza delle vie di comunicazione tra Liguria e Piemonte.
Il 7 aprile, i nazifascisti, salirono da Voltaggio, Mornese, Campo Ligure, Masone mettendo a ferro e fuoco montagne e casolari, tra Bosio e Capanne di Marcarolo.
Le formazioni ribelli sbandarono: poco organizzate, male armate e troppo numerose per il continuo afflusso di renitenti alla leva privi d’esperienza militare. Inoltre, i capi partigiani non compresero il pericolo imminente, malgrado informazioni giunte da fondovalle, e non adottarono precise contromisure, ne piani di fuga. Colti di sorpresa, molti ragazzi si rifugiarono alla
cascina Benedicta, sede del comando partigiano, in cerca di ordini certi. Sul posto però trovarono il nemico. I giovani, quasi tutti disarmati, s’arresero, convinti d’aver salva la vita.

Il rastrellamento proseguì sino alla notte successiva: chi venne catturato, chi morì combattendo, chi riuscì ad eludere l’assedio e fuggire, anche grazie all’aiuto dei contadini della zona. Minata la Benedicta, i nazifascisti rinchiusero i prigionieri nella vicina cappella. Fucilati a più riprese, in 98 caddero davanti al plotone d’esecuzione, ammassati in fosse comuni, da loro stessi scavate, nel canalone che conduce al vecchio mulino. Altri 83 furono trucidati, in tempi e
luoghi diversi, tra Masone, Voltaggio, Isoverde, Passo del Turchino e Passo Mezzano.

A rastrellamento concluso, l’antico casale fu fatto brillare con l’esplosivo e raso al suolo. Per giorni fu impedito ai parenti dei caduti di raggiungere le fosse e solo nel dopoguerra si poterono recuperare le salme.
Circa 400 prigionieri vennero inviati ai campi di sterminio: tra loro anche, giovani contadini dei paesi del circondario, operai delle fabbriche genovesi ed ex militari del regio esercito, rifugiatisi nei boschi di Capanne di Marcarolo, per sfuggire ai primi arresti. A partire dal 10 aprile vennero concentrati nel cortile delle scuole di Voltaggio, poi a Villa Rosa, un’ex casa di tolleranza di Novi
Ligure, circondata da filo spinato e sentinelle. In breve fu organizzato un trasporto ferroviario che, il 12 aprile, li condusse, da Genova, alla volta dei lager tedeschi. Lungo il viaggio, a Sesto San Giovanni, in 200 riuscirono ad evadere, ma dei restanti, pochi sopravvissero ai campi di
concentrameno.

 

 

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