Torre Pellice
22/03/2025
La Val Pellice è la valle segnata dal corso del torrente Pellice, primo affluente di sinistra del Po. Da essa si diramano la valle di Luserna sul versante destro, a sud, e la valle Angrogna sul versante sinistro, a nord. I primi nuclei clandestini di antifascisti che si formarono nel 1942, il movimento partigiano che vi si sviluppò a partire dall’8 settembre del 1943 e la successiva Resistenza e guerra di Liberazione vennero a inserirsi nella lunga storia di guerre e di rivolte che la avevano insanguinata per 500 anni quale centro di diffusione della eresia valdese e, successivamente, della riforma protestante. Qui vennero elaborate e discusse le prime idee di federalismo europeo, non a caso proprio negli anni della guerra di Liberazione e della Resistenza.
La stampa clandestina
Scrive Bruna Peyrot in “Resistere nelle valli valdesi. Gli anni del fascismo e della guerra partigiana”, Società di Studi Valdesi, 1995:
La Tipografia Alpina di Torre Pellice ebbe un ruolo fondamentale durante la Resistenza. Fondata verso il 1880 da Giovan Pietro Malan, divenne, sin da quegli anni, il centro stampa ufficiale della chiesa valdese che vi commissionava le relazioni sinodali e gli opuscoli divulgativi. Durante gli anni del fascismo continuò a produrre scritti di Lombardini, Miegge, Lo Bue, ispiratori della Resistenza alle valli valdesi. Dopo l’8 settembre 1943 aumentò il lavoro della stampa clandestina, con grave rischio per i tipografi, l’allora proprietario Pier Luigi Pagliai (membro della Giunta clandestina e del CLN di Torre Pellice) e il suo giovane aiutante Enzo Jouve (1915-1992) che ne scrisse successivamente le memorie. Pagliai e Jouve passavano la notte chiusi in una stanzetta della Tipografia a comporre a mano e impaginare (la maggior parte della stampa clandestina si componeva a mano con un carattere “elzeviro” posseduto da quasi tutte le tipografie, perciò meno identificabile), mentre proprio sulla piazza di fronte stazionavano costantemente Brigate Nere e SS naziste. Il rumore delle macchine poteva destare sospetti, ragion per cui si operava dal tardo pomeriggio sino verso le ventidue e nei periodi di coprifuoco si dormiva in Tipografia. Tutto il materiale veniva successivamente nascosto sotto le assi del pavimento, sempre sperando di non essere presi. Durante la Resistenza uscirono a migliaia gli stampati clandestini: la prima edizione piemontese di “Italia Libera”, i primi numeri di “Il Partigiano alpino”, “Voce dei campi”, “Voci d’officina”, le garibaldine “La Baita” e “La Forgia”, i “Nuovi Quaderni di Giustizia e Libertà”, opuscoli vari di propaganda specie del Partito d’Azione e del Movimento Federalista Europeo, nonché carte di identità e lasciapassare tedeschi (ovviamente falsi!). E non dobbiamo dimenticare “Il Pioniere”, settimanale della V Divisione Giustizia e Libertà. Diretto da Gustavo Malan, avvalentesi della collaborazione redazionale di Fredino Balmas, Archimede Modenese e Giulietto Giordano, raggiunse ben presto le 15.000 copie, un vero successo nonostante la clandestinità. Articoli politici, notizie locali, informazioni e controinformazioni sull’attività partigiana riempiono le sue pagine, fedeli all’ideale espresso simbolicamente dal titolo così spiegato nel numero di giugno 1943: «”Il Pioniere” non solo perché desideriamo sia come un pioniere della nuova stampa, ma più ancora perché il nuovo italiano, il nuovo europeo dovrà essere un pioniere. Noi vivremo in un nuovo mondo anche senza andare lontano da casa nostra, noi dobbiamo costruire un nuovo mondo». Per la distribuzione della stampa clandestina nelle valli erano incaricate le staffette; per quella destinata a Torino si provvedeva mediante bidoni a doppio fondo spediti sui camion della Stamperia Mazzonis. Sul primo scomparto pieno di opuscoli e giornaletti se ne metteva un altro pieno di acqua colorata che, a eventuali verifiche, poteva passare per tintura utile alle stoffe di Mazzonis. Dal settembre ’43 al febbraio ’45 la Tipografia subì ben undici perquisizioni da parte delle SS naziste, senza risultati. Mai nulla di compromettente fu trovato. Invece Jouve venne arrestato dietro delazione l’11 febbraio 1945. Gli si mostrò molto materiale prodotto dalla Tipografia, ma nonostante i terribili interrogatori, riuscì a salvarsi perché la Liberazione era alle porte. La Tipografia “ribelle” aveva terminato il suo lavoro clandestino, non il suo costante impegno nella stampa di materiali, volantini, libretti, giornali e giornaletti destinati alla crescita e alla maturazione civile della gente.
La gente
Per una serie di circostanze casuali e di condizioni ambientali legate alla presenza della chiesa valdese, Torre Pellice si trovò ad essere al centro delle vicende del Partito d’Azione.
Già prima dello scoppio della guerra Francesco Lo Bue, pastore valdese e insegnante al Collegio, e Jacopo Lombardini, assistente al Convitto, entrambi aderenti al Partito d’Azione, animavano un ristretto gruppo di operai e studenti antifascisti che si ritrovava nel retrobottega del “Caffè d’Italia”.
Il gruppo aveva solidi contatti con le direzioni del partito di Milano e Torino grazie a Mario Rollier, assistente al Politecnico di Milano che aveva casa a Torre Pellice, e al giudice Giorgio Agosti, torinese sfollato a Torre, e poteva giovarsi della guida di antifascisti di lunga data che vi avevano trovato sistemazione reduci dal confino di Ventotene, Vittorio Foa, Michele Giua, Altiero Spinelli.
A Torre Pellice soggiornarono per periodi più o meno lunghi esponenti di spicco del Partito d’Azione, Mario Andreis, Leo Scamuzzi, Leo De Benedetti, Franco Venturi, Franco Momigliano tanto che il 9 settembre del 1943 l’esecutivo piemontese del Partito vi si spostò, grazie anche al fatto di potere disporre di una “insospettabile” tipografia per stampare materiale clandestino e i “Nuovi Quaderni GL”, la Tipografia Alpina, che aveva sede proprio dirimpetto al comando fascista.
Dopo l’armistizio vi passarono Ada Gobetti, Dante Livio Bianco, Leo Valiani, Willy Jervis e Ferruccio Parri per riunioni in cui la questione dell’organizzazione della lotta armata fu sempre all’ordine del giorno, e fu a Torre Pellice che venne concepita l’organizzazione delle formazioni partigiane “Giustizia e Libertà” e a Torre Pellice che nel corso di una conferenza semipubblica Altiero Spinelli enunciò i principi del federalismo europeo che sarebbero stati presto sanciti nella Dichiarazione di Chivasso.
Verso la fine del 1943 il gruppo, al cui interno erano andate affermandosi le capacità direttive e organizzative di Gustavo Malan, Paolo Favout, Sergio Toja e Giulio Giordano cominciò a costituirsi in banda armata del Partito d’Azione operante all’interno di quelle che diventeranno le formazioni “Giustizia e Libertà”, primo nucleo della V Divisione Giustizia e Libertà che sarà intitolata a Sergio Toja, uno dei primi caduti in combattimento; ad esso si affiancarono altri gruppi in alta valle o in val Luserna nati spontaneamente o per l’incessante opera di reclutamento.
Su un altro versante, l’armistizio dell’8 settembre e lo sbando dell’esercito regio portarono cospicui nuclei di militari a scegliere la lotta armata in appoggio alle forze alleate e folti gruppi di renitenti alla leva per la neocostituita Repubblica Sociale a rifugiarsi in baite d’alta montagna in attesa di scegliere il da farsi.
A sud della val Luserna, nella confinante valle Infernotto e sul monte Bracco nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre si costituirono formazioni partigiane di orientamento comunista sotto la guida di ufficiali dell’esercito regio, Pompeo Colajanni, Vincenzo Modica, Nanni Latilla, e di esponenti di primo piano del partito clandestino, Dante Conte, Ludovico Geymonat, Giovanni Giolitti, Giancarlo Pajetta. Riunite sotto l’insegna di battaglione “Pisacane” delle Brigate Garibaldi ampliarono la loro zona d’azione in val Po, val Varaita e in pianura; una di queste formazioni, operante sulle alture di Montoso e sconfinata in val Luserna durante un rastrellamento con il consenso del comando GL, vi si insediò fino alla Liberazione. I suoi rapporti con i giellini della rimanente val Pellice furono di stretta collaborazione anche se non mancarono polemiche, ma le loro sono due storie diverse..
Guerra di liberazione
Dovettero imparare prima a nascondersi e sfamarsi, poi a combattere una guerra diversa da quella che avevano appreso nelle fila dell’esercito, quei pochi a cui era stata insegnata. Molti di loro erano poco più che ragazzi, nelle fotografie che ci hanno lasciato stupisce la loro aria a volte spavalda, come incosciente del pericolo o di sfida alla sorte.
Per quel popolo variegato che si sarebbe riconosciuto nel termine di partigiani, imparare a combattere e a nuocere al nemico fu esercizio faticoso, puntellato di fallimenti e di caduti, ma riuscì prima di quanto non si potesse credere: già pochi mesi dopo l’8 settembre del 1943, fascisti e tedeschi sapevano quanto fosse pericoloso avventurarsi in valle, al punto da sospettare reciprocamente patteggiamenti segreti coi partigiani pur di essere lasciati tranquilli.
La guerra di Liberazione fu lunga e dolorosa. Un conteggio delle vittime in valle fa conto di 70 civili di cui 8 per il fuoco alleato, 175 partigiani tra le fila dei GL, tanti ne riporta l’Albo d’Onore dei caduti della V Div. pubblicato subito dopo la guerra, e 48 tra le fila dei garibaldini, tanti ne elenca il Comune di Luserna che allora comprendeva tutta la Val Luserna, in una stima datata 1996. Centinaia le case bruciate, incalcolabili le confische e l’impoverimento della popolazione.
Nei locali dell’ex caserma Ribet a Torre Pellice hanno sede la sezione distaccata della Biblioteca civica “Carlo Levi”, “Resistenze: storia e memoria”, e il Museo della Stampa Clandestina. All’interno dell’edificio, già caserma degli Alpini e della Guardia di Frontiera (GAF) e sede delle Camicie nere, vi è ancora visitabile la cella dove vennero rinchiusi ostaggi e partigiani e dove nell’agosto del 1944 fu tenuto prigioniero Willy Jervis prima di essere portato, con altri quattro compagni, a Villar Pellice per essere impiccato. Inoltre, a poche decine di metri dalla caserma era la storica Tipografia Subalpina, della quale il Museo conserva dei macchinari, con i quali, nottetempo, durante l’occupazione nazifascista, venivano stampati i giornali clandestini: “Il Pioniere”, “La baita”, “La forgia” e il materiale di controinformazione che da qui partiva per tutta Italia.
Fortemente voluti dall’Amministrazione comunale, la Biblioteca viene inaugurata nel 2009 mentre nel 2013 è inaugurato il Museo. Il patrimonio della Biblioteca delle Resistenze si è formato dalla donazione di associazioni, enti e privati. Quasi 3000 volumi riguardanti la storia del Novecento, in particolare su fascismo, antifascismo e Resistenza e altri materiali quali opuscoli, volantini, raccolte di periodici, DVD. Sono quindi presenti opuscoli, volantini, ecc. pubblicati durante il periodo bellico, riviste clandestine, copie di documenti del periodo della Resistenza in Val Pellice, raccolte di riviste moderne e di giornali d’epoca. Tutto il patrimonio è inserito nel catalogo del Sistema Bibliotecario del Pinerolese www.sbp.erasmo.it. I documenti d’archivio sono stati in parte digitalizzati e presenti sul Sistema integrato dei cataloghi d’archivio www.metarchivi.it. La Sezione è mantenuta viva grazie all’impegno di volontari e volontarie che ne garantiscono l’apertura tre volte alla settimana, con il coordinamento della Biblioteca civica “Carlo Levi”. La biblioteca svolge servizio di prestito e consultazione ma anche organizzazione di presentazioni, conferenze, proiezioni, incontri con le classi scolastiche, mostre e convegni sui temi della Resistenza e delle altre resistenze contemporanee.
TORRE PELLICE
Torre Pellice (La Tor in piemontese, La Toure de Pèlis in occitano; anticamente Torre di Luserna).
È il centro principale della Chiesa Valdese italiana ed il capoluogo della Unione Montana del Pinerolese. Dalla borgata Ruà, situata su di un promontorio, si gode una vista panoramica sulla vallata. La borgata dei Coppieri, un tempo il limite del ghetto in cui erano confinati i Valdesi, è oggi un vero e proprio villaggio completamente ricostruito.
Deve il suo nome alla torre dell’anno 1000. E’ un importante centro delle valli valdesi dotato di vari monumenti, un museo, tre biblioteche. E’ una realtà dinamica, da visitare percorrendo l’isola pedonale che inizia in Piazza S. Martino con la Chiesa Cattolica, il Priorato Mauriziano e la Fontana di Carlo Alberto e prosegue nel centro storico per arrivare alla zona valdese, con il Tempio, la Casa Valdese dove ogni anno si riunisce in assemblea il Sinodo, la Fondazione Centro Culturale Valdese con il suo museo, gli archivi e la biblioteca; il Collegio Valdese, ora Liceo, e la Foresteria Valdese.
MUSEO STORICO VALDESE
Il museo è situato nella via intitolata al generale inglese Charles Beckwith - che ebbe un ruolo importante nella storia valdese - dove si trovano anche i principali edifici come la Casa Valdese, sede dell’annuale Sinodo. Ripercorre la storia valdese dalle origini, attraverso una sezione storica e una etnografica.
TEMPIO VALDESE
Il Tempio di Torre Pellice fu edificato nel 1852, dopo che l’emancipazione del 17 febbraio 1848 spazzò via i divieti imposti ai valdesi. Ogni anno vi si svolge il culto d’apertura del Sinodo, organo decisionale delle Chiese Valdesi e Metodiste formato da rappresentanti eletti dalle comunità.
Chiesa evangelica valdese - Il culto
Semplicità e sobrietà sono tratti distintivi del culto evangelico che non necessita di luoghi o templi particolari. Anche la funzione del predicatore che presiede l’assemblea non ha alcun carattere sacro. La sua funzione è distinta non tanto per questioni di principio ma soprattutto per ragioni pratiche, in quanto la comunità stessa riconosce in tale persona particolari competenze in materie bibliche nonché la maturità nella fede. Nonostante diverse accentuazioni dottrinali rispetto alle chiese cattoliche e ortodosse il culto evangelico nella sua struttura corrisponde all’antica prassi delle prime comunità cristiane, le cui tracce sono tuttora visibili nelle liturgie di tutte le chiese. Ad esempio nella messa cattolica che si divide in liturgia della parola e liturgia eucaristica si possono individuare gli stessi elementi del culto evangelico. A parte le complesse differenze nell’interpretazione dell’eucaristia, la discordanza fondamentale è che nel culto evangelico non può mancare la predicazione, mentre nella messa cattolica non può mancare la parte eucaristica, intesa come centro della liturgia.
Altri elementi caratteristici della vita ecclesiale della Comunità valdese: la mancanza di immagini nelle chiese, il matrimonio dei pastori, la comunione con il pane ed il vino, il rifiuto delle reliquie.
Da questi principi teorici, dottrinali deriva anche una visione particolare della Chiesa. La comunità cristiana vista come incontro e comunione dei credenti più che come organizzazione strutturata gerarchicamente ha una impostazione di vita che risponde ad una sensibilità di tipo democratico e non clericale.
A differenza delle chiese di tipo cattolico, i valdesi non raccolgono il principio della successione episcopale secondo cui la presenza di Cristo è garantita dalla successione dei vescovi; essi affermano che tra Cristo e la Chiesa (=comunità di credenti) non ci sono forme di autorità intermedia; il popolo dei credenti è chiamato a vivere la sua fede avendo la certezza che il Signore lo guida mediante il suo Spirito. Di conseguenza la chiesa non può dare direttive specifiche concernenti le scelte politiche, l’etica sessuale.
STORIA: Era un anno attorno al 1170 quando un ricco mercante lionese di nome Valdo, dopo aver vissuto una profonda crisi spirituale, decise di rinunciare a tutti i suoi beni materiali e di vivere in povertà seguendo l’esempio degli apostoli. Valdo, in certi casi conosciuto anche come Pietro Valdo e il cui nome originario era probabilmente Valdesio o Valdense, iniziò la predicazione popolare del Vangelo e fu lui a fondare e a dare il nome al movimento religioso oggi conosciuto come valdismo. I seguaci di Valdo vivevano in povertà come il loro maestro e per questo in un primo momento furono chiamati i "Poveri di Lione", i valdesi che in un secondo tempo si diffusero nella pianura Padana vennero appellati come i "Poveri di Lombardia". I principi semplici che i valdesi diffondevano invitavano a ubbidire a Dio piuttosto che agli uomini. Questo nuovo credo
rivoluzionario che si ispirava all’integrità morale dei primi cristiani contrastava con gli stili di vita degli ecclesiastici dell’epoca e ben presto Valdo e i suoi seguaci vennero convocati dall’arcivescovo di Lione e diffidati a diffondere eresie tra la gente. Per i valdesi arrivò anche la scomunica ed ebbe inizio una persecuzione che si protrasse per secoli: furono costretti all’esilio e abbandonarono le loro terre di origine cercando rifugio in diverse zone d’Europa.
Verso il 1210 un gruppo di valdesi giunse nelle valli del Piemonte ma la repressione nei loro confronti si fece più dura con il Concilio Lateranense del 1215 e furono costretti ad isolarsi in zone nascoste e poco abitate: trovarono rifugio nelle Alpi Cozie, nelle valli Pellice, Germanasca e Chisone. Spesso gli eretici erano visti come elementi diabolici e in certi casi accomunati a coloro che venivano accusati di stregoneria e come loro potevano essere condannati al rogo, il tribunale
dell’inquisizione fu uno dei maggiori strumenti di persecuzione e costrinse i seguaci di Valdo a vivere nella clandestinità per trecento anni.
Il movimento valdese attraversò periodi di grandi difficoltà e forse sarebbe stato totalmente annientato se non avesse avuto una buona organizzazione interna. Da Pradeltorno, villaggio della Val d’Angrogna, partivano i cosiddetti barba (nella parlata locale significa zio: una persona da trattare con rispetto, da barba derivò anche l’appellativo barbèt il nome con cui erano chiamati i valdesi in Piemonte), i pastori predicatori itineranti che visitavano segretamente le piccole comunità che si erano sparse in diverse parti d’Italia, fu grazie alla loro assidua opera che i vari gruppi di valdesi rimasero uniti e fedeli al loro credo.
Nel 1532 i valdesi si riunirono in sinodo a Chanforan, località della Val d’Angrogna, e decisero di aderire alla Riforma protestante. Intanto le persecuzioni messe in atto dagli organi di potere continuarono spietate: nel 1561 per mano della repressione spagnola vennero massacrate alcune comunità calabresi che avevano deciso di non resistere alle autorità; quello stesso anno i valdesi del nord Italia che invece si opponevano con la forza alle azioni repressive si accordarono con il duca Emanuele Filiberto di Savoia e firmarono il Trattato di Cavour: ai protestanti vennero imposti dei rigorosi confini dove potevano esercitare il loro culto, il territorio corrisponde all’area che è ancora oggi nota come Valli Valdesi o, come si dice in loco, semplicemente le Valli. Questo accordo rappresentò solo una tregua temporanea in quanto non era ancora trascorso un secolo quando nel 1655 il marchese di Pianezza occupò le Valli massacrando quasi duemila valdesi che guidati dal contadino Giosuè Janavel di Rorà opposero un’eroica resistenza. Questo inaudito fatto di sangue, passato alla storia con il nome di Pasque Piemontesi, scosse l’Europa e i paesi protestanti si mobilitarono e intervennero in aiuto del popolo valdese. Le pressioni diplomatiche internazionali contribuirono al raggiungimento della cosiddetta Pace di Pinerolo che venne firmata quello stesso anno, il duca Carlo Emanuele II di Savoia confermò la libertà del culto valdese all’interno del territorio assegnato ed esentò i valdesi dal pagamento delle tasse per cinque anni.
L’odissea del popolo valdese non era certo finita. Nel 1686 Vittorio Amedeo II, su pressione del re di Francia Luigi XIV, emise un editto che vietava in modo definitivo il culto protestante, le truppe franco-piemontesi attaccarono la resistenza valdese e fu una nuova carneficina: vennero uccise circa duemila persone, le altre furono rastrellate e ammassate in prigioni di fortuna in condizioni impietose. Coloro che abiurarono si salvarono e furono cattolicizzati; quando le prigioni vennero riaperte in seguito alle pressioni degli altri paesi europei, i valdesi che non vollero rinunciare al loro credo furono costretti all’esilio verso la Svizzera e la Germania. Molti morirono durante il lungo viaggio a piedi che portò gli esiliati a superare le Alpi in pieno inverno. Ma il desiderio dei valdesi del Piemonte era quello di tornare nelle loro valli e più volte cercarono di organizzare il rientro. Ci riuscirono nell’agosto del 1689 con quella che ancora oggi viene chiamata la Gleurieuse Rentrée, la grande marcia che più di novecento tra valdesi e ugonotti, guidati dal pastore Enrico Arnaud, intrapresero dalla località svizzera di Prangins, sul lago Lemano (lago di Ginevra); in una quindicina di giorni superarono le Alpi e percorsero più di duecentocinquanta chilometri combattendo contro le truppe regolari del Piemonte e della Francia e spesso dovettero affrontare anche gruppi di abitanti locali che si opponevano al loro passaggio. Una battaglia epica avvenne a Salbertrand in Valle di Susa dove le perdite furono ingenti, la marcia terminò in località Sibaud nel comune di Bobbio Pellice dove i protestanti superstiti giurarono di rimanere uniti. Gli scontri con gli eserciti regolari continuarono ancora per tutto l’inverno fino all’eroica resistenza degli ultimi trecento protestanti che avvenne il località Balsiglia nel vallone di Massello.
Dopo questi fatti lo stato sabaudo abbandonò la collaborazione con la Francia e si alleò con l’Inghilterra e con l’Austria, i superstiti valdesi poterono reinsediarsi nelle valli piemontesi dove, con l’aiuto degli stati protestanti europei, iniziarono una lunga opera di ricostruzione. Ma le persecuzioni non erano ancora finite e nel Settecento Vittorio Amedeo II riprese la politica repressiva, i valdesi furono costretti a vivere rigorosamente all’interno del loro territorio che venne definito il "ghetto" e molti vennero ancora inviati all’esilio.
Bisognò attendere che le idee innovative della rivoluzione francese facessero il giro dell’Europa prima che anche nel governo sabaudo maturassero dei nuovi principi di tolleranza e di libertà, fu così che le tormentate vicende dei protestanti piemontesi non terminarono che il 17 febbraio del 1848, quando Carlo Alberto concesse le cosiddette "Lettere patenti": l’editto di emancipazione che riconosceva ai valdesi i diritti politici e civili ponendo fine a secoli di discriminazioni. Appena la notizia della ottenuta emancipazione si diffuse, sulle alture delle Valli Valdesi vennero accesi dei grandi falò: i cosiddetti "fuochi di gioia". Ancora oggi, ogni anno la sera della vigilia del 17 febbraio, centinaia di falò illuminano le Valli circondati da gruppi di valdesi festanti che intonano canti e preghiere per ricordare l’ottenuta libertà, la festa prosegue poi il giorno seguente con cortei e culti che si tengono un po’ in tutte le comunità.
Fu l’inizio di un rapido progresso che vide la costruzione di nuovi templi per il culto anche al di fuori delle Valli, di nuove scuole, di ospedali, di una casa editrice, di una facoltà di teologia e di tante altre opere a carattere sociale. L’istruzione subì un grande impulso soprattutto per opera del generale inglese Charles Beckwith che colpito da una cannonata francese aveva perso una gamba nella battaglia di Waterloo, dopo essersi stanziato nelle Valli Valdesi già prima dell’emancipazione aveva dato il via alla costruzione di tante piccole scuole, così anche coloro che abitavano nei villaggi più sperduti ebbero la possibilità di studiare, in questo modo i valdesi raggiunsero un livello culturale decisamente elevato rispetto alla media.
Nel 1979 i valdesi hanno stretto un patto di integrazione con i metodisti (confessione sorta in Inghilterra nel XVIII secolo e presente in Italia fin dalla metà dell’Ottocento) formando una unica unità confessionale che si esprime con il sinodo annuale che si
tiene a Torre Pellice nel mese di agosto di ogni anno, valdesi e metodisti sono cristiani riformati e fanno parte delle chiese evangeliche o protestanti.
Oggi le comunità valdesi si sono sparse un po’ in tutta la penisola italiana e alcune comunità sussistono anche in Svizzera, appartengono tutte alla "Chiesa Evangelica Valdese" che fa capo alla sede di Torre Pellice, i valdesi in Europa sono oggi in numero di circa 26.000 ma i nuclei principali restano sempre quelli insediati all’interno del territorio delle Valli Valdesi che contano circa 11.000 persone. Fin dalla metà del XIX secolo in Sud America (Uruguay e Argentina) si sono formati insediamenti di valdesi provenienti dall’Italia che oggi contano una popolazione di circa 15.000 persone e fanno capo alla "Iglesia Evangélica Valdense" del Rìo de la Plata.
Di altre comunità religiose di origini valdesi, poi confluite in altre correnti protestanti, rimangono tracce in Germania, Francia e Stati Uniti d’America.
Nella Casa Valdese di Torre Pellice ha sede la Tavola Valdese: il comitato composto da sette membri che viene eletto ogni anno
dal Sinodo. Il comitato, che ha il compito della gestione della vita ecclesiale, è composto da pastori e da laici ed è presieduto dal moderatore. Il moderatore risiede a Roma; nella capitale ha sede anche la Facoltà Valdese di Teologia. La casa editrice Claudiana venne fondata a Torino nel 1855, il suo nome si ispira alla memoria di un vescovo torinese di nome Claudio, vissuto nel secolo IX, le sue origini erano spagnole e viene considerato dai protestanti un precursore della dottrina evangelica. La Claudiana venne spostata a Firenze dove rimase per molti anni e poi fece ritorno a Torino nel 1960. Il principale scopo della casa editrice che si presenta come "la voce italiana del protestantesimo" è quello di divulgare lo studio e la conoscenza della Bibbia e di favorire il dialogo interconfessionale tra i cristiani e con i laici. L’organo di stampa ufficiale delle Chiese evangeliche, battiste, metodiste e valdesi è il settimanale Riforma che dal 1993 integra al suo interno l’Eco
delle Valli Valdesi la testata storica valdese fondata nel 1848. Legata alla Chiesa valdese è anche Radio Beckwith Evangelica, una emittente radiofonica nata nel 1984 a Torre Pellice che oggi ha sede a Luserna San Giovanni.
A Torre Pellice ha sede la Fondazione Centro Culturale Valdese che comprende la biblioteca, il Museo Valdese e l’ufficio "Il Barba" per la promozione degli itinerari valdesi. All’interno delle Valli Valdesi esiste poi un sistema museale che comprende numerosi piccoli spazi espositivi sparsi sul territorio che documentano la storia e le tradizioni dei valdesi. Nello stesso edificio del centro culturale hanno sede la Società di Studi Valdesi e l’Archivio della Tavola Valdese. Il Collegio Valdese di Torre Pellice venne fondato nell’anno 1831 e nel 1835 venne costruito l’edificio, aveva lo scopo di dare una degna istruzione ai giovani valdesi che non venivano accolti nella scuola istituzionale. Oggi il collegio accoglie il Liceo Valdese, un istituto paritario aperto a tutti.
I luoghi di culto valdesi
È probabile che nei periodi della clandestinità i valdesi tenessero le loro riunioni e i loro culti in luoghi segreti e nascosti proprio come i primi cristiani, questa ipotesi storica ha preso piede nell’Ottocento e a tale riguardo sono stati individuati dei siti all’interno delle Valli Valdesi che ben rappresentano questi primi luoghi di preghiera. Sono ambienti nascosti e di difficile accesso consistenti perlopiù in grotte naturali, in particolare ne sono stati identificati due: la Ghieisa
d’la Tana che si trova nei boschi di Angrogna e Roca Ghieisa ubicata nel territorio di Roccapiatta, frazione di Prarostino. Secondo la tradizione furono questi i primi templi delle Valli Valdesi.
Per i valdesi il tempio non è un luogo sacro ma rappresenta unicamente lo spazio dove si incontrano i credenti che formano l’assemblea che rappresenta la chiesa vera e propria. Così nei primi secoli del movimento valdese queste riunioni avvenivano generalmente in case private o scuole e, nei periodi di maggiore repressione, nei luoghi segreti. Ai tempi delle persecuzioni spesso erano i barba, i predicatori itineranti, a guidare questi incontri di preghiera che consistevano in momenti di preghiera e di meditazione di passi della Bibbia.
In seguito all’adesione alla Riforma protestante i valdesi uscirono dalla clandestinità e iniziarono la costruzione dei templi, la prima notizia di un culto pubblico all’interno di un tempio valdese risale all’anno 1555 e riguarda il villaggio di San Lorenzo di Angrogna. Già quello stesso anno gli abitanti di Angrogna iniziarono la costruzione di un secondo tempio in località Serre perché quello di San Lorenzo non era sufficiente ad accogliere i protestanti che giungevano anche dai villaggi vicini e dalla pianura. Da quel momento in poi i templi nacquero un po’ ovunque all’interno delle Valli Valdesi, erano edifici estremamente semplici ma piuttosto capienti, l’arredo era molto povero per non dire quasi inesistente, poteva consistere in un tavolo per il predicatore e qualche rustica sedia che accoglieva le persone che non potevano restare in piedi. Durante le repressioni dei secoli XVI e XVII i templi vennero completamente distrutti ma vennero ricostruiti negli anni che seguirono.
Ancora oggi i templi valdesi si presentano piuttosto spogli al loro interno e del tutto privi di immagini sacre, di solito un tavolino accoglie una Bibbia, sempre aperta, mentre l’arredo più vistoso è il pulpito su cui sale il pastore per essere visibile da tutti i fedeli che prendono posto all’interno dei banchi. Alle pareti sono affissi i Dieci comandamenti e dei quadri in legno con dei numeri componibili che indicano i canti che vengono intonati durante il culto, a volte può comparire una frase con riferimenti biblici all’interno o all’esterno del tempio. Una o più grandi stufe in ghisa sono presenti all’interno dei templi storici per bruciare la legna che, nel periodo invernale, attenua il freddo intenso che caratterizza questi grandi ambienti. Sulla facciata esterna di molti templi è dipinto lo stemma valdese: il candelabro circondato da sette stelle con la scritta LUX LUCET IN TENEBRIS.
Normalmente questi edifici sono chiusi, vengono aperti in occasione della celebrazione del culto che quasi ovunque ha luogo la domenica mattina. Durante il culto avviene la lettura di passi della Bibbia, la predicazione da parte del pastore, poi preghiere e canti; in alcune occasioni viene celebrata anche la Santa Cena con la distribuzione del pane e del vino a tutti i fedeli.
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